Questo il titolo del nuovo volume della Fondazione Vajont presentato in anteprima a Longarone Fiere
Una guida per le guide e per i visitatori. È questa la grande novità del volume presentato presso il Centro Congressi di Longarone Fiere durante la 42a Arredamont, alle ore 17,30, sul disastro del Vajont. Il libro che sarà disponibile dal 12 novembre si intitola “Vajont, una storia da raccontare”.
L’iniziativa è della Fondazione Vajont che ha affidato la scrittura ad un gruppo di redazione formato dal direttore della Fondazione, Giovanni De Lorenzi, dal Vice Presidente della medesima, Giovanni Danielis, da Luigi Rivis, autore di testi sulla tragedia del 1963 e da Gianni Olivier, superstite e informatore della Memoria. Dopo i saluti del Sindaco di Longarone, Roberto Padrin che ha ricordato il grande lavoro iniziato anni fa che c’è dietro questo libro, il moderatore Edoardo Pittalis, editorialista de Il Gazzettino e scrittore a sua volta, ha dato la parola al presidente della Fondazione Vajont De Lorenzi.
«Dietro queste pagine c’è un rilevante lavoro che abbiamo voluto completare insieme coinvolgendo sia le memorie storiche sia formando un vero e proprio comitato di studio e redazione che potesse raccontare la storia della tragedia del Vajont senza politicizzazioni né visioni distorte dell’accaduto. La raccolta di immagini, prima, durante e dopo la devastazione sono una delle testimonianze più importanti che questo volume, unico nel suo genere riesce a proporre». L’obiettivo è dunque offrire un documento di sintesi sul disastro, ricco di tante immagini, molte inedite, sul quale gli “Informatori della Memoria” sostengono la propria attività di informazione verso le decine di migliaia di persone che visitano la diga e percorrono il coronamento. «Un libro che permetterà un approccio laico alla storia del Vajont, basato su fatti reali e riportati oggettivamente dagli autori, scevri da interpretazioni» ha concluso De Lorenzi.
Dopo di lui la parola è passata al Vice Presidente della fondazione che dopo avere ringraziato tutti i presenti che hanno affollato la sala, aiutandosi con la proiezione delle foto del volume ha raccontato cosa era il Vajont prima e dopo, soffermandosi anche su particolari importanti come la descrizione della cabina di comando o la via di fuga. «Si sapeva che il rischio ci poteva essere, ecco perché al personale era stata fornita una via di fuga con l’indicazione, non appena avessero notato l’arrivo della frana, di mettersi al riparo sotto la roccia». Un visitatore odierno vedrebbe uno scenario completamente diverso da quello di 59 anni fa. La diga era certamente un’opera architettonica di alto livello per quel tempo, oggi potrebbe solo vedere la ricostruzione.
«È per questo che il volume è così importante – ha poi ripreso De Lorenzi – perché, dividendosi in capitoli, il libro diventa una guida per le “guide informatori” per poi proseguire racconto dopo racconto ai luoghi della memoria. Personalmente mi sono occupato della ricostruzione del dopo Vajont, recuperando anche materiale fotografico inedito che rendono ancora più prezioso “Vajont, una storia da raccontare”». Una sintesi perfetta che permetterà agli informatori di “far vivere” il Vajont con la propria mente basandosi sui fatti e non sulle opinioni. Edoardo Pittalis stesso ha elogiato il lavoro. «Qualcuno potrebbe dire che tutto è stato già scritto sul Vajont, forse anche di più di quanto si doveva. Ma tutto raccontato secondo opinioni diverse, a volte anche accusatorie. Questo lavoro è invece “asettico”, nel senso buono del termine, perché risponde anche alle tante richieste da parte di turisti e scolaresche che sempre più numerose vogliono sapere cosa realmente è successo e lasciando spazio alla propria immaginazione e non attraverso gli occhi e i filtri di qualcun altro».
«È un modo per proseguire la memoria e lasciare ai giovani un’eredità importante – ha concluso De Lorenzi – perché gli “informatori della memoria” saranno capaci, anche dopo di noi, di tramandare una storia che non deve perdersi. Saranno le staffette di una memoria che non può essere abbandonata a sé stessa solo perché chi l’ha vissuta di persona non c’è più». Un lavoro unico, un modo nuovo e inedito per non dimenticare. Perché chi dimentica, insegna la storia, è destinato a ripetere gli stessi errori.